Il testo a cui si ispira l'opera è "Discorso sulle donne" di Natalia Ginzburg e la risposta di Alba De Céspedes, pubblicato nel 1948 tra le pagine di "Mercurio".
Due cilindri di carta intagliata con la tecnica del papercutting sono sospesi in aria, paralleli.
Due pozzi paralleli, leggerissimi, che sembrano smaterializzare la concretezza invalicabile di quella cavità oscura.
Labili sono i confini del pozzo, come labile è il confine che l'artista vuole rievocare: quello tra natura e cultura, rifacendosi ad una delle questioni principali mosse da Ginzburg.
Questa tremenda malinconia è insita nella natura femminile o è il frutto amaro di una secolare tradizione di soggezione e di schiavitù?
Questi pozzi di carta si riempiono così di elementi naturali, di flora e di fauna una volta amica, un'altra nemica.
Ma chi è che definisce la volontà della natura, il suo essere madre o matrigna, benigna o tossica?
Con lo stesso controllo con cui ha vigilato e normato i corpi e le identità femminili, cosi l'arroganza maschile ha classificato e giudicato il mondo.
In questa giungla finemente intagliata ci sono mani che nuotano per farsi largo, che annaspano nelle difficoltà.
Ci sono corpi che faticano a conformarsi a modelli e a ruoli definiti ma c'è anche il fiato largo di chi, a pieni polmoni, scende giù in profondità e da lì guarda il mondo.