In Riva di arbusti, la pittura di Francesco Marchini raggiunge una dimensione più silenziosa e introspettiva. La materia vegetale si trasforma in un terreno di memoria. La superficie, scura e vellutata, si apre in minimi bagliori: piccole presenze luminose che evocano la fragile vitalità di un sottobosco o di una riva immersa nel crepuscolo.
Continua quindi la riflessione sulla relazione tra natura e lavoro umano, restituendo alla pittura la fisicità della cura quotidiana, ma anche la sua inevitabile stanchezza. In questa opera la mano sembra quasi ritirarsi, lasciando che siano la materia e il tempo a parlare: ciò che emerge è un paesaggio interiore, dove ogni frammento organico conserva il ricordo di un gesto, di un’attenzione, di un respiro.
Riva di arbusti conclude idealmente un trittico dedicato alla terra come organismo sensibile, in cui la poetica dei lavori diventa meditazione sulla trasformazione, sull’imperfezione e sulla durata.