Mentre tutto è così “maledettamente” geometrizzato in questa opera, la scelta di maneggiare la complessità e le contraddizioni, diventa una sfida difficile. È una ginnastica mentale tra intuito e devastazione seppur semplificata. Qui, il confine tra arte e provocazione, dissimulazione o sottolineatura, sfuma. Basta un luogo empirico, un approdo, “la logistica”, evocare senza ben definire: Gioia oppure gioia. Località o stato emotivo?
Se diamo per scontato un contenuto dalla sola forma, possiamo dirci sicuri che restiamo bloccati dentro un enigma; è il paradosso del reale, percepito ma non risolvibile a suggerire il binomio “arte-droga”.
“Gioia” infrange tabù e barriere morali; ciò che guardiamo è un corretto esempio dell’inatteso che non darà soluzione. L’opera di Giulio Manglaviti approda a una conclusione controintuitiva e al contempo coerente. Il bisogno compulsivo di allineare e disporre i pacchetti secondo criteri rigorosi, ha come risultato quello di alleviare l’ansia e il disagio causati dall’ipotesi del contenuto. L’astratto e l’indecifrabile si fondano sul fraintendimento del linguaggio che qui si fa carico dell’opera. Si muove in ambito speculare, maneggiando materia oscura, filosofica, intangibile e definitiva.